Si sente spesso parlare del legame fra la storia affettiva infantile di un individuo, e le sue future scelte relazionali. È un dato di fatto che durante l’infanzia si costituiscano le basi per la vita relazionale futura. L’esempio più evidente è quello delle storie affettive traumatiche, in cui l’infanzia sia caratterizzata da abuso, trascuratezza, carenza di cure, con ripercussioni evidenti sulle relazioni in età adulta. Cosa accade nella nostra mente quando viviamo relazioni infantili traumatiche? Esistono diversi approcci al problema; secondo una prospettiva psicodinamica, la mancanza di un genitore sufficientemente amorevole, implica l’assenza di qualcuno che possa accogliere le proprie emozioni, il genitore ha la funzione, fra le altre, di accogliere l’emotività del figlio, sintonizzarsi con essa, ed aiutarlo a comprendere quegli stati che vive, di eccitazione, gioia, ma anche di terrore ed angoscia. Il pianto del bambino viene accolto e seguito da una consolazione, questa non è solo un modo per evitare lo stress delle urla o le lamentele dei vicini, la consolazione è trasformazione delle emozioni, così che l’angoscia venga tramutata in tranquillità: il genitore accoglie le emozioni del figlio, le trasforma, e gliele “restituisce” in una nuova forma, più positiva. Con questa trasformazione, il genitore trasferisce al figlio, un pezzettino alla volta, anche la capacità di divenire lui stesso in grado di gestire la propria emotività.
Cosa ha a che fare tutto ciò con le relazioni adulte?
La capacità di gestire le proprie emozioni in età adulta, secondo diverse prospettive d’indagine, discende direttamente da questo processo infantile, infatti la gestione delle relazioni in età adulta contiene in sé alcuni frammenti della nostra esperienza infantile, che lo vogliamo o meno.
Le nostre prime esperienze affettive lasciano delle tracce in noi, essendo la mente del lattante o del bambino in una fase critica per la propria formazione e, una volta cresciuti, tendiamo ad utilizzare quello “stampino” relazionale che si è creato nella nostra mente con le prime relazioni.
Cosa implica questo? Che una relazione infantile traumatica, ci spingerà ad avere uno “stampino traumatico”, che ci spingerà a cercare creare nuove relazioni che possano adattarsi a quella stessa immagine. Se non abbiamo ricevuto la giusta attenzione, le giuste cure, tenderemo ad utilizzare la nostra idea di relazione per cercare e ricreare situazioni affettive in cui non riceviamo abbastanza attenzione o abbastanza cure.
In questo modo si genera un circolo vizioso per il quale sembra che non si riesca mai a trovare una persona che non ci faccia soffrire, che non sia incapace di farci sentire abbastanza amati.
In alcuni casi, utilizzare questo stampino fallimentare, ci permette di rivivere quei traumi antichi, e ci offre l’illusione di poter cambiare il passato. Rivivere la stessa situazione traumatica, ma con nuovi strumenti, nuove capacità, ci illude di poter, questa volta, riuscire a trasformare quella relazione disfunzionale in qualcosa di buono. Ed eccoci che replichiamo la stessa storia più e più volte.
La mente è il più potente strumento di cui siamo stati dotati, ma se mal gestita può diventare un’arma contro noi stessi, spingendoci ad una vita di cicliche sofferenze.
Il passato ha un grande potere, ci ha formati e determinati, ma la fine delle cose è più importante del loro inizio. Prendiamo consapevolezza delle nostre radici, del fatto che ne siamo una diretta derivazione; una volta compresa l’origine della nostra sofferenza e di quelle parti di noi che ci spingono a riviverla più e più volte, saremo più in grado di riprendere in mano le redini delle nostre relazioni e della nostra vita.
Articolo scritto da Thomas || Redazione Purex